Nella casa delle nostre bisnonne, se erano abbastanza benestanti, il salotto stava tra la sala da pranzo e la camera per gli ospiti. Era al piano terreno, ma non era questo a renderlo buio, perché la porta finestra che lo dominava si apriva quasi sempre sullo spiazzo ghiaioso che faceva da anticamera al giardino. Quella stanza era buia perché nessuno ci andava mai e le persiane, come le finestre, erano sempre chiuse perché il sole non sbiadisse “la roba” (cioè i mobili e le suppellettili) e il vento non facesse impolverare la grande tovaglia in cachemire che copriva la tavola tonda fino a nasconderne le robustissime gambe.
In quell’oscurità, non si distinguevano i disegni dei cuscini poggiati sull’alta “ottomana” sotto la quale, durante le rituali pulizie pasquali, si scopriva qualche volta un covo di topi, magari tra le risa della bisnonna e gli strilli di sua figlia, la nonna, che era paurosa di tutto. I bambini di solito non hanno paura dei topi, ma hanno paura dei rimproveri e a quel divano, l’ottomana, non si avvicinavano mai perché gli era assolutamente vietato! Se entravano in salotto, era spesso per il pianoforte verticale appoggiato alla parete di fronte alla portafinestra, a cui piaceva sollevare il coperchio, liberare la tastiera dalla lunga striscia di panno felpato che la ricopriva, e provare a suonare “Per Elisa” con due dita. Però solo quando in casa non c’era che la domestica, complice affidabile come sempre.
Il salotto di quell’epoca era sempre lo stesso: c’era la credenza, il tavolo tondo, le sedie, la grande poltrona coi braccioli, per le letture solitarie del “pater familias”, e le poltroncine senza braccioli, per le donne che non dovevano essere impedite nei movimenti delle braccia quando ricamavano. C’erano infatti anche i tavolini tondi da lavoro, c’erano puff (davvero ridicoli, eppure con un qualcosa di sublime), c’erano alti vasi da fiori, alzate per la frutta, un grande orologio, ricami incorniciati e, qualche volta, persino un paesaggio ricamato con pazienza dalla bisnonna durante la sua giovinezza. Tutte cose che i bambini non dovevano toccare. «Cosa fai lì al buio? Fuori, in giardino!» ordinava la zia. Il salotto non lo si poteva indagare scoprirlo, non era fatto per viverci, era fatto per ospitare chi alla fine non arrivava praticamente mai. “Metti caso viene qualcuno”, si diceva. E nel frattempo il salotto diventava intoccabile e invivibile. Tant’è vero che quando qualche ragazzina si metteva lì a leggere di nascosto i romanzi che per bambini non erano, magari perché raccontavano segretamente di mielose storie d’amore, lo sentiva forte quell’odore di chiuso, di polvere e di erba secca. E la poca luce che entrava riusciva comunque a mostrarle quant’erano lisi e brutti i tappeti. Insomma, quel “metti caso viene qualcuno…” aveva finito per trasformare quella stanza, fatta apposta per ospitare, in un locale assolutamente inospitale.
Eppure c’erano stati anni di grandi andirivieni dentro quella stanza! Anni in cui si viveva forse il salotto in modo tutto diverso.. Anni in cui un medico di campagna, un notaio, un possidente, un commerciante, potevano permettersi la casa grande per la grande e numerosa famiglia, la servitù e persino l’illusione di concentrare ed ostentare con gli amici (gli ospiti … quelli veri) dentro quella stanza, i simulacri della bellezza offerti dalle nascenti industrie delle arti decorative.
Cattivo gusto?
Ne sono stati convinti in molti, cioè la maggior parte di coloro che passarono, dopo, gran parte della loro vita a disfarsi di mobili e oggetti che erano per qualcuno diventati insopportabili e per qualcun’altro erano invece fonte di strane, ma sempre felici nostalgie.
Del resto era piacevole l’idea della bisnonna quando anche essa era stata giovane, e di tutti quegli oggetti che avevano significato per lei orgoglio e novità. In verità è facile pensare a lei, alla bisnonna, anche quando oggi, sulle pedane del Pret-à-porter, sfilano curiose modelle con indosso camicie o giacche damascate, pantaloni in broccato di seta e grandi scialle in Cashmire, oppure quando, al Salone del mobile, si riscopre il ritorno dei divani profondi, dei capitonnè, delle “etager”, dei tavoli modernissimi ma con le gambe rococò, delle credenze con il piano in marmo e si può verificare i miracoli che può fare uno scialle di cachemire (più o meno lo stesso) gettato con arte sopra il cuscino di un sofà.
Sono indizi… È forse tornata la voglia di avere un vero salotto ?
Le grandi sedute imbottite, i tavoli conviviali, le comode sedie, gli oggetti curiosi ma eleganti, bandiscono l’idea del quotidiano, del lavoro, della crisi, dei problemi.. . Al massimo ammettono la televisione con il suo telegiornale, il computer per essere sempre connessi col mondo e lo stereo, quale succedaneo del pianoforte di un tempo. Cosa significa questo? Il salotto dei primi del ‘900 era stato rinnegato per un amore di una leggerezza che scopriva le gambe dei mobili, snelle come quelle delle donne pazze per il Charleston. La rivoluzione dell’architettura urbana degli anni ’50, ne spazzò via i resti. L’appartamento non concedeva più spazi separati perché tutti dovevano avere una casa, ma la maggior parte della gente non aveva in verità sufficienti soldi per averla.
Nel secondo dopoguerra infatti, quando quelle nostre “bisnonne” iniziarono a sparire, i film americani cominciarono a indicare una soluzione: il soggiorno: un ambiente dove stare tutti insieme ad un solo passo dalla cucina abitabile ad esso collegata. Contrariamente al “salotto”, che nelle case ricche o modeste aveva sempre la stessa sintassi, il soggiorno ognuno se lo costruiva a misura della propria famiglia: con divani stretti, grandi tv o piccole, mobili bar, il tavolo allungabile per il caso degli ospiti a pranzo, le librerie col posto per il computer che adesso, ahinoi, non manca quasi mai. Un sistema architettonico che consentiva in pochi metri quadri di raggruppare i differenti spazi funzionali di una piccola casa.
Vennero perfino i Beatles a suggerirci come potesse essere una abitazione moderna: tradizionale all’esterno e poi dentro ampia e libera come la musica rock. Cambiava anche il linguaggio. Non si parlava più di un bell’ambiente, di un appartamento ben tagliato. Si diceva: un bello spazio. E lo si dice ancora! Se non ci fosse la crisi adesso chi vorrebbe più un bel appartamento con spazi separati per i diversi momenti del giorno e della notte? Molto meglio una serra, una fabbrica di mattoni dismessa, un garage, il laboratorio di un artigiano che ha chiuso … insomma uno spazio unico dove piazzare tutto quanto può occorrere e divertire gli ospiti con la logica che segue un ghiacciaio quando ritirandosi, abbandona i massi spogli per la valle. Dentro uno spazio irregolare ma aperto senza divisori, i tavoli, le sedie, i divani e le poltrone dei designers di scuola moderna devono apparire come caccoline di mosca, ma devono essere evidenti come macigni. Per questo, nello scorso decennio, schiere di inventivi giovanotti si erano messi a disegnare grandi sofà sbilenchi, mobili con le orecchie, sedie con il sedere, librerie di materiali incongrui, e tavoli prepotenti, egocentrici. Quella moda pareva fortissima. Rivoluzionaria. E forse lo era…Ma solo per l’immagine. Era stata adottata da gente abituata a fare dell’immagine la propria vita, ed è stata spazzata via presto dalla diffidenza dei più, per i quali l’eterna vista del mobile a “totem”, del letto leopardato, del tavolino su rotelle d’acciaio, del tavolo con le calze a rete e delle sedie con il sedere scoperto, era pari a una pena infernale.
Quindi: restaurazione! Ed ecco che il salotto di una volta ritorna modernissimo, forse più liscio, più sobrio, ma ricco, ricchissimo.. con i suoi complementi, i suoi tavoli, le sue sedie, i divani, le poltrone Chaise-longue, “paraventi” di vetro invisibile, e i televisori, che grandi come pianoforti Steinway, “suonano” da soli accanto al caminetto. Almeno di chi se lo può permettere …
Però attenzione… non serve più immaginare per forza il “loft”, come è chiamato adesso, per potersi godere uno ampio spazio aperto dove cucina, soggiorno e salotto sono collegati e la famiglia può coabitare, sfruttando ogni più piccola angolo della casa. Ora è spesso sufficiente demolire qualche muro, magari fare qualche “cerchiatura” nei locali più vecchi, e comunque si riesce ad ottenere ottimi risultati quasi ovunque e con modica spesa.
In pratica un evoluzione positiva che ha riunito gli spazi per necessità prettamente economiche e ha finito però per far riutilizzare al meglio ambienti che erano ormai passati in secondo piano.
Tutto questo movimento è stato insomma molto utile…
Utile per dimenticare i piatti sporchi in cucina, dopo aver preparato la cena tutti insieme e spostarsi a fine pasto solo di qualche metro per andare sul divano a guardare il concerto di Jovanotti, con gli amici, nel massimo del relax.
Utile per vedersi un video su Youtube, seduti comodamente in poltrona tenendosi il tablet sulle ginocchia, mentre i bimbi giocano ad “Angry birds” sul tavolino da fumo.
Oppure utile per parlare con i propri cari di ciò che ci è successo il giorno sul tavolo da pranzo, aspettando per avere lì vicino il solito scialle di cachemire da tirarsi sulle ginocchia, mentre distesi ci godiamo la nostra serie Tv preferita.
Perché in fin dei conti questo, più di tutto, vuol dire “casa”, oggi.